ROVIGO – Se domenica scorsa il “marziano” al quale scrive ogni sera in TV Pierfrancesco Diliberto detto Pif, fosse stato sulle tribune del Battaglini ad assistere al 175° derby tra Rovigo e Petrarca si sarebbe fatto l’idea di un campionato in piena salute. Tremila spettatori sugli spalti con una presenza significativa di giovanissimi rugbysti, tutti con le maglie della loro squadra, un tifo caldo e appassionato senza nessun incidente, una splendida giornata di sole, uno stadio colorato che di più non si può, un terreno verde smeraldo sul quale è un piacere giocare e soprattutto una partita che, al di là del risultato, non ha tradito le attese della vigilia. Anzi. Otto mete, punteggio mai sicuro nemmeno quando il Rovigo era nettamente davanti, azioni spettacolari, scontri duri ma corretti anche se l’arbitro ha dovuto estrarre ben 5 cartellini gialli (tutti falli cosiddetti “professionali”), ritmo di gioco ben superiore alla media del Top 10, insomma una gran giornata di rugby in tutti i sensi.
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Purtroppo quello che si è visto al Battaglini rappresenta un unicum per il rugby italiano e lo possono fornire, oggi come nel passato, solo due società come il Rovigo e il Petrarca che nel nostro massimo campionato sono presenti ininterrottamente dal 1948. Di questa anomalia se ne sarebbe sicuramente accorto lo stesso “marziano” di Pif vedendo i tabellini e le cronache (nelle quali si cita il numero di spettatori) delle altre partite del campionato oppure leggendo pochi giorni dopo la notizia della rinuncia del Calvisano ad iscriversi al Top 10 del prossimo anno per mancanza di soldi (LEGGI ARTICOLO). Altro che torneo in salute! Il ruolo di “salvatori della patria”, in questo caso rappresentata dal campionato, è toccato spesso al Rovigo e al Petrarca e non solo in tempi recenti.
Le ultime due finali scudetto sono state un successo di pubblico e di interesse solamente perché le hanno giocate queste due squadre altrimenti si sarebbe visto uno spettacolo ben diverso. Rovigo è stato anche in grado di reggere la scena da solo riempiendo con i suoi tifosi gli stadi dove si sono giocate le cinque finali con il Calvisano di fresca memoria. Non dimentichiamo che il record di spettatori per una partita di campionato resta sempre quello del derby del 1977 con quasi 20 mila presenza sulle tribune dello stadio Appiani di Padova. Queste due società sono riuscite a passare indenni le crisi e le mode che hanno interessato il rugby italiano dal dopoguerra a oggi, specialmente nell’ultimo trentennio quando il “professionismo straccione” (definizione di Andrea Rinaldo, ex seconda linea ed ex presidente del Petrarca) ha stravolto il movimento provocando la sparizione o, nel migliore dei casi, un forte ridimensionamento, di parecchie società che hanno lasciato spazio a nuove realtà emergenti, magari prive di tradizione, ma con il portafoglio gonfio grazie alla disponibilità di alcuni sponsor i quali, una volta esaurita la spinta iniziale, hanno abbandonato queste squadre al loro destino. Grandi città come Roma e Milano non fanno più parte del Top 10 come del resto tradizionali roccaforti come Parma, L’Aquila, San Donà mentre altre società come Prato e Firenze, giusto per citarne qualcuna, sono state delle meteore durate appena qualche stagione.
Rovigo e Petrarca, invece, da oltre settant’anni sono ancora lì a scrivere la storia del massimo torneo, molto spesso da protagoniste, anche se non sempre il loro ruolo è stato riconosciuto dal resto del movimento ovale italiano come avrebbe dovuto. Quando fu scelta la strada dell’alto livello con la creazione delle due franchigie, al di là del brutto pasticcio iniziale con la presenza della fantomatica squadra dei Pretoriani di Roma, rossoblù e bianconeri rimasero ai margini del progetto celtico. E lo rimasero anche dopo il fallimento degli Aironi di Viadana quando, invece di guardare alle realtà esistenti che disponevano di strutture e risorse, si preferì creare una squadra nuova di zecca come le Zebre, senza passato e senza storia, trapiantandola in una città, Parma, che ancora oggi non la riconosce come propria espressione.
Una sorta di esperimento poggiato più su alchimie da laboratorio che sulle solide basi di un ambiente con alle spalle una tradizione di spessore i cui risultati sportivi ed economici, pessimi entrambi, sono oggi sotto gli occhi di tutti. Nonostante tutto ciò la Federazione non sembra intenzionata a cambiare direzione anche se da Padova è arrivata una proposta, guardata con molta attenzione anche da Rovigo, che metteva sul piatto soldi e ambizioni supportati da strutture organizzative di primordine. Come se il patrimonio di cultura rugbystica e di radicamento sul territorio che si trova sulle due sponde dell’Adige non meritasse alcuna attenzione. Tutto sommato questa situazione pare possa stare bene anche al Benetton Treviso che in questo modo non vede scalfire il suo ruolo di società più importante (e più ricca grazie al sostanzioso contributo federale) del rugby italiano.
Probabilmente la presenza di un’altra franchigia a pochi chilometri di distanza, con strutture, competenze, ambiente e budget simili, potrebbe mettere a rischio la leadership trevigiana per cui nella marca pensano sia meglio continuare ad avere l’innocua concorrenza delle Zebre. Se la decisione della Fir dipendesse, come vorrebbe la normale logica delle cose, dai risultati sportivi ed economici la franchigia di Parma dovrebbe essere stata chiusa da un pezzo e la sua licenza celtica passata ad altri. Evidentemente sono in ballo altre ragioni (e qualche maligno agita cattivi pensieri) tra le quali c’è da mettere in conto anche la questione degli impianti sportivi di Moletolo che sono gestiti dalla Federugby. La tutela di questo groviglio di interessi, non sempre condivisibili, rischia, però, di far perdere opportunità di investimento che imprenditori come Banzato, presidente del Petrarca, e Zambelli, patron del Rovigo, sarebbero in grado di offrire con il supporto di due ambienti che non hanno eguali nel rugby italiano. Deludere le loro attese potrebbe anche significare il ridimensionamento o addirittura la perdita di queste due realtà. E’ lusso che il rugby italiano non può permettersi. Qualora ve ne fosse stato bisogno l’ultimo derby del Battaglini lo ha fatto capire in maniera chiara e netta.