PORTO TOLLE (Rovigo) – Gli effetti del caro gasolio, senza dimenticare la riduzione dello sforzo di pesca (periodo di fermo), continuano a rendere instabile l’attività di pesca, un settore già in difficoltà anche nel nostro Delta.
Le misure contenute del Decreto Energia di marzo avevano dato qualche speranza ai lavoratori imbarcati ed alle imprese.
“Ad oggi, però, – sottolinea Mauro Baldi segretario Generale della Flai/Cgil Pesca di Rovigo –queste speranze sono svanite perché nulla è arrivato e la situazione sta diventando sempre più difficile.
In questi giorni, molte imprese della nostra Penisola hanno dichiarato di voler disarmare le imbarcazioni e di voler licenziare i loro dipendenti. Parliamo, in tutta Italia di 25.000 lavoratori che rimarrebbero senza reddito e senza lavoro”.
La Flai – Cgil Pesca di Rovigo, comprende lo stato di disagio e di difficoltà nel quale si trovano le imprese ma non condivide la soluzione proposta, o comunque minacciata, che andrebbe verso un vero e proprio massacro sociale anche in Polesine.
“In una situazione di difficoltà come quella attuale, si rende estremamente necessario un ammortizzatore sociale che possa sostenere, in maniera strutturale, il reddito dei lavoratori.
Purtroppo, la Cisoa pesca è allo stato attuale una scatola vuota: inutilizzabile per i lavoratori e un ulteriore costo per le imprese che da gennaio di quest’anno hanno cominciato a pagare.
Come già fatto in varie circostanze attraverso forti sollecitazioni, la Flai Cgil, dopo mesi di attesa chiede per l’ennesima volta al Governo, un immediato intervento economico a sostegno del settore della pesca e di rendere la Cisoa pesca effettivamente adeguata ed utilizzabile, al fine di garantire la continuità occupazionale, il reddito delle imprese ed evitare così il blocco dell’attività di uno dei comparti essenziali anche del nostro territorio.
La pesca, come tutto l’agroalimentare del Polesine, rappresentano dei settori strategici per gli obbiettivi di sicurezza alimentare locale e nazionale, oggi ancora più evidente in tempi di pandemia e di guerra.
È quindi inaccettabile – conclude Baldi – che questo bene collettivo rischi di scomparire, magari favorendo l’ulteriore ingresso di prodotti importati sui nostri mercati e trasformando i nostri pescatori in una specie a rischio d’estinzione”.