Polesine No Trivelle in Prefettura contro la ripresa delle estrazioni di gas: vantaggi incerti, danni ambientali certi

Il Prefetto Clemente di Nuzzo ha preso atto delle rivendicazioni e ne riferirà a Roma. La richiesta dei comitati è l'abrogazione della disposizione sblocca trivelle nel Decreto aiuti del Governo

Nella mattinata odierna si è svolto presso il Palazzo del Governo di Rovigo un presidio organizzato da esponenti del coordinamento “Polesine No Trivelle” (LEGGI ARTICOLO) che vede nell’attivista ambientalista polesano Vanni Destro il coordinatore (LEGGI ARTICOLO).

Il Prefetto Clemente Di Nuzzo ha ricevuto, a loro richiesta, una delegazione di manifestanti, rappresentanti delle diverse sigle aderenti alla protesta, tra le quali la Rete dei comitati ambientalisti della provincia di Rovigo, la LIPU, il WWF, Italia Nostra e l’associazione di agricoltori CIA – Confederazione Italiana Agricoltori (LEGGI ARTICOLO).
I delegati hanno espresso la propria posizione di contrarietà rispetto alle recenti norme contenute nel Decreto cd. “aiuti quater”, relative al rilascio di autorizzazioni per l’estrazione di gas naturale nelle aree marine.

Il Prefetto, nell’evidenziare come le norme in questione si inseriscano in un contesto di disposizioni intese a conseguire la sicurezza energetica nazionale, e che le stesse norme prevedono che il rilascio di concessioni sia subordinato a espresse garanzie di salvaguardia ambientale e di monitoraggio, ha preso atto delle posizioni espresse dai rappresentanti dei manifestanti, delle quali riferirà in Sede Centrale.

I manifestanti hanno consegnato al Prefetto un documento da far pervenire al Governo in cui si esprime la contrarietà alla ripresa delle estrazioni di gas in Polesine e la richiesta di abrogazione della disposizione sblocca trivelle contenuta nel Decreto aiuti (LEGGI ARTICOLO)

L’appello dei rappresentanti dei comitati al Prefetto, ai politici del territorio, agli imprenditori ed ai cittadini è quello di unirsi in un fronte comune per evitare l’inutile sciagura della ripresa delle trivellazioni facendo pressione sul Governo.
Non ne facciamo una questione di appartenenza politica, ma chiediamo rispetto e considerazione per i territori che molto hanno già sofferto e di rivedere per questi le proprie scelte in materia di energia.
Di tutto ciò siamo certi anche senza ricorrere a Comitati tecnici-scientifici in quanto al momento non esistono tecnologie sicure che evitino ogni dannosa conseguenza” afferma il rappresentante Vanni Destro che auspica una presa di posizione del presidente della Regione Veneto Luca Zaia (LEGGI ARTICOLO) sulle posizioni di assoluta contrarietà del 2015 che l’hanno spinto a celebrare un referendum nel 2016 a cui l’86% dei veneti ha espresso la volontà di interrompere la ricerca di idrocarburi e di accantonare per sempre l’attività estrattiva di gas naturale (LEGGI ARTICOLO).

Presente a Rovigo anche il consigliere regionale del Pd Veneto, Jonatan Montanariello che ha partecipato alla manifestazione (LEGGI ARTICOLO) contro la disposizione “sblocca trivelle” contenuta nel Decreto aiuti quater del Governo, di cui si chiede l’abrogazione.

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Appello al Governo e al Parlamento per l’abrogazione e comunque la profonda modifica, in sede di conversione in legge della disposizione cd. “sblocca trivelle” del “DL Aiuti Quater”

I componenti del coordinamento Polesine No Trivelle si rivolgono al Parlamento e al Governo italiani affinchè, in sede di conversione in legge del cd. “D.L. Aiuti Quater”, venga abrogata la disposizione cd. “salva trivelle” contenuta nell’art. 4 in cui, tra le misure per l’incremento della produzione nazionale di gas naturale, è stato previsto:

  • da un lato, di riammettere alla produzione le concessioni di gas metano esistenti in Alto Adriatico (nel tratto compreso tra il 45° parallelo e il parallelo passante per la foce del ramo di Goro del Po, ad una distanza superiore alle 9 miglia) previa verifica dell’ “assenza di effetti significativi di subsidenza” sulle linee di costa,
  • dall’altro, in deroga al divieto contenuto nel Codice dell’ambiente (all’articolo 6, comma 17, del decreto legislativo n. 152 del 2006), consente di rilasciare lungo tutte le coste italiane nuove concessioni di coltivazione di idrocarburi in zone marine tra le 9 e le 12 miglia marine dalla costa e dalle aree protette marine e costiere.

Un vantaggio incerto, inesistente nel breve periodo

Si dubita fortemente che le nuove norme, significativamente derogatorie della legislazione e della pianificazione vigente in materia di estrazioni di idrocarburi, assicurino l’obiettivo perseguito di una effettiva riduzione del costo del gas (a vantaggio delle imprese energivore), dato il modesto contributo relativo che il conseguente atteso incremento dell’offerta di metano di produzione nazionale potrà fornire (appena 15 mld di metri cubi di gas in un decennio, secondo le dichiarazioni del Ministro), ossia meno del 2% rispetto al fabbisogno italiano annuo.
L’assoluta irrilevanza di tale contributo risulta dunque tanto più evidente nel breve periodo, venendo dunque meno lo stesso presupposto che giustifica l’urgenza del provvedimento adottato con decreto legge.

I danni certi: l’aumento delle emissioni climalteranti

E’ invece assolutamente certo che le nuove norme si pongono in netto contrasto con l’ulteriore obiettivo che si dichiara di perseguire con tali disposizioni, ossia di voler così “contribuire alla riduzione delle emissioni di gas climalteranti” (così il comma 1 dell’articolo del DL in esame).
Di qui un’evidente contraddizione intrinseca del decreto legge che, incentivando nuove estrazioni di gas, si pone in netto contrasto con tutti gli impegni assunti dal nostro Paese a livello europeo ed internazionale per arrivare ad azzerare le emissioni nette di CO2 entro il 2050.
In proposito basti ricordare come la stessa Agenzia internazionale per l’energia (IEA) ha avvertito che il rispetto dell’Accordo di Parigi, con il contenimento il riscaldamento del clima a +1,5°C, impone necessariamente di escludere l’avvio di nuovi giacimenti di gas (oltre che miniere di carbone e pozzi di petrolio) successivamente al 2021.

I danni certi all’ambiente

Le nuove norme introdotte dal DL derogano pericolosamente alla legislazione ambientale e alla pianificazione vigente, così da consentire nuove estrazioni offshore di idrocarburi, tanto entro la fascia di rispetto delle 12 miglia marine che all’interno delle aree vincolate dal Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee – PITESAI: il fondamentale strumento di pianificazione condivisa che si era dato il Paese (con l’approvazione in Conferenza unificata) per effettuare le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi nel rispetto della sostenibilità ambientale (oltre che sociale ed economica).
Sono evidenti dunque, anche al netto dei rischi di incidenti, i gravi pregiudizi dell’incremento delle estrazioni off shore alla biodiversità, al paesaggio e alla geomorfologia dell’ambiente marino e costiero italiano.
I pregiudizi più gravi ed evidenti del nuovo decreto legge deriveranno dal consentito riavvio delle estrazioni in aree marine sino ad oggi vincolate dell’Alto Adriatico e, in particolare, in quelle che fronteggiano il Delta del Po: un ambiente di importanza mondiale, su cui insistono due Parchi naturali regionali, una Riserva MAB Unesco, un Sito marino di Importanza Comunitaria.

Il rischio di aggravamento della subsidenza con pregiudizi pesantissimi all’economia del delta del Po

Il Delta del Po è un territorio anfibio estremamente fragile, com’è noto, esposto alla subsidenza, all’erosione costiera e alla risalita del cuneo salino: tutti fenomeni che già richiedono costi ingenti per essere fronteggiati e che rischiano di essere aggravati dagli interventi di estrazione di idrocarburi consentiti dalle nuove norme.
Da questo punto di vista le disposizioni del DL Aiuti quater non offrono sufficienti garanzie, consentendo la riapertura dei pozzi sulla base di una non meglio precisata “verifica” dell’assenza -non di subsidenza, ma- di “effetti significativi” di subsidenza sulla costa, quasi che l’aggravamento del fenomeno sia in qualche modo accettato come inevitabile, e si tratti di contenerne le conseguenze più gravi.
Circa l’affidabilità (o inaffidabilità) dei modelli matematici predittivi della subsidenza indotta dalle estrazioni di gas metano, si ricordi quanto denunciato nel Seminario di Italia Nostra dedicato alla subsidenza “Delta del Po: un tesoro da salvare”, Rovigo, 13/5/2017, ossia che, tra gli altri, il pozzo di estrazione denominato “Angela Angelina” ubicato nel ravennate, ha causato una subsidenza variabile tra il metro ed il metro e mezzo lungo la linea di costa prospiciente il pozzo stesso, mentre invece il modello matematico presentato in sede autorizzatoria descriveva nella stessa posizione abbassamenti complessivi inferiori a 14 centimetri.

Il contrasto con gli artt. 9 e 41 della Costituzione

Alla luce di quanto sopra evidenziato, appare chiaro che le nuove disposizioni si pongono in contrasto con gli artt. 9 e 41 della Costituzione (come riformati dalla legge cost. n. 1 del 2022) perché, con la finalità dichiarata (ma in realtà, sulla base delle stesse previsioni governative, non perseguibile) di ridurre nel breve periodo il costo del gas metano, autorizza decisioni suscettibili di cagionare impatti ambientali, territoriali ed economici negativi di lungo periodo, anche a danno delle future generazioni.

Tutto quanto premesso e considerato si fa appello al Parlamento e al Governo italiani perché in sede di conversione del “DL Aiuti quater” siano soppresse le disposizioni del ricordato art. 4 in quanto mancanti del presupposto dell’art. 77 della Costituzione della straordinaria necessità ed urgenza, perché non perseguono le finalità dichiarate di “contribuire alla riduzione delle emissioni di gas climalteranti”, perché si pongono in contrasto con gli artt. 9 e 41 della Costituzione.
In ogni caso si chiede che le predette disposizioni dell’art. 4 del “DL Aiuti quater” siano profondamente modificate nel senso di scongiurare ogni rischio di subsidenza e di pregiudizi ambientali ed economici alle aree marine e costiere italiane e, in particolare, al territorio fragilissimo del Delta del Po, in primo luogo, prevedendo quanto segue:

  • 1) di considerare negli studi teorici sulla subsidenza cagionata dalle estrazioni di gas metano anche l’impatto degli “effetti cumulativi” delle altre cause di subsidenza, antropiche e naturali, anche potenzialmente indotte delle altre attività limitrofe di coltivazione.
  • 2) di prevedere che il rilascio della concessione alle estrazioni di idrocarburi sia sottoposta all’assenso ministeriale sulla base della verifica, condotta con l’applicazione di modelli matematici previamente validati nei termini sopra esposti, di assenza di fenomeni di subsidenza, anche in termini di assenza di incremento del cuneo salino, di erosione delle coste e di alterazione dell’equilibrio erosivo deposizionale dei sedimenti, nonché previo nulla osta delle Regioni interessate.

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