Gli alpini e la tragedia del Vajont

Gli studenti del Polo Tecnico di Adria (Rovigo) hanno avuto l’opportunità di partecipare, sabato 11 novembre, presso l’Auditorium Saccenti

ADRIA (Rovigo) – Grazie alla disponibilità degli Alpini del gruppo di Adria, gli studenti del Polo Tecnico hanno avuto l’opportunità di partecipare, sabato 11 novembre, presso l’Auditorium Saccenti, ad un momento di approfondimento, testimonianza e riflessione in occasione dei 60 anni dalla tragedia del Vajont.

In apertura Alessandro Sieve, ex studente, ha suonato con il clarinetto il “silenzio d’ordinanza”, creando da subito un’atmosfera particolare. L’incontro è stato quindi coordinato da Matteo Sacchetto, capogruppo Alpini di Adria, che con l’aiuto di un video ha illustrato come è nato il corpo degli alpini, i valori a cui si ispira e i compiti svolti. Gli alpini Gianni Bernecoli e Vincenzo Boscolo hanno poi spiegato come avvenne la progettazione e la costruzione della Diga del Vajont, le criticità emerse e come si è verificata la tragedia.

Cuore dell’incontro è stato il racconto di due alpini, allora ventenni, in servizio di leva, appartenenti alla Brigata Alpina Cadore e mandati a Longarone già il giorno successivo all’evento. Nel 1963 non esisteva la protezione civile – creata solo nel 1970 -, e comunque non c’era un sistema organizzato per portare soccorso in caso di calamità naturale. I primi ad intervenire furono allora, oltre ai carabinieri, i pompieri e l’esercito con il corpo degli alpini, con circa 10.000 effettivi, molti dei quali erano giovani di leva che si sono ritrovati improvvisamente a confrontarsi con uno scenario di devastazione e di morte. 

Il Prof. Giuseppe Pastega, ex docente e dirigente scolastico, partì la sera stessa dal Piemonte per raggiungere Belluno. Nel successivo trasferimento verso Longarone notò che per strada vi erano praticamente solo mezzi militari. Avvicinandosi al luogo del disastro, dove prima esistevano strutture civili, case, strade, ferrovia, un centinaio di attività produttive, luoghi che conosceva avendoli già visitati in precedenza, c’era una distesa di rocce e di sassi; tutto era stato spazzato via e sminuzzato. Non c’era alcun segno di vita, non c’erano animali o uccelli e nemmeno piante o un filo d’erba; solo silenzio e l’aria immobile, come in un paesaggio lunare. L’attività svolta dal suo gruppo riguardò principalmente i servizi logistici. Ebbe modo di parlare con i sopravvissuti. Gli abitanti conoscevano la montagna, sapevano che poteva franare e non si fidavano; però erano abituati a non reagire. 

Guido Siviero, di Taglio di Po, che in quel periodo stava facendo il CAR – Centro Addestramento Reclute – nella stessa Brigata Cadore, fu inviato con 40 compagni sul luogo dell’evento il giorno successivo. Il compito iniziale del suo gruppo, in mezzo a tanta devastazione, fu la ricerca dei sopravvissuti, nelle case e scantinati non spazzati via del tutto dall’acqua; purtroppo non c’erano più persone vive. Ricorda in maniera vivida e con sofferenza il servizio svolto in quelle settimane, in particolare l’incarico pietoso e sconvolgente per un ragazzo di 20 anni di individuare e recuperare quello che rimaneva delle tante vittime, resti che venivano poi affidati ai carabinieri per le successive operazioni di riconoscimento. 

Ha portato poi un particolare e apprezzato contributo all’incontro il poeta adriese Franco Callegaro, con una toccante poesia in cui immagina di dare voce a una giovane vittima del Vajont. 

Diversi gli interventi degli alunni, in chiusura dell’incontro, a dimostrazione dell’interesse e degli interrogativi suscitati dal ricordo di quella tragedia.  “Non sono state prese in considerazione le ragioni e i diritti della natura né le voci dei valligiani che conoscevano i luoghi e sapevano ascoltare la montagna, per un superiore interesse economico” la riflessione di Luca, della classe II Umm.

Andrei, della classe Iv Tee ha richiamato in maniera documentata altri eventi tragici accaduti più di recente, o che potrebbero accadere ancora se non vengono valutati correttamente i rischi legati alla realizzazione di un’opera pubblica. “Molte volte questi disastri avvengono all’improvviso, in pochissimo tempo distruggendo ogni cosa; spesso sono eventi prevedibili, ma l’uomo non ascolta i chiari segni della natura, diventando anch’esso causa della tragedia” il commento di Emma e Siria della classe IB AFM. “E’ nostro dovere ricordare la tragedia del Vajont per fare in modo che catastrofi simili non accadano mai più”.

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